Nam June Paik: le origini dell’arte elettronica

28 febbraio 2007
INCONTRO-DIBATTITO
Nam June Paik: le origini dell’arte elettronica
Relatore: Martina Coletti
Moderatori: Cristina Trivellin, Morena Ghilardi
Studio D’Ars, Via Sant’Agnese 12/8, Milano

Nam June Paik, artista nato nel 1932 a Seoul, viene concordemente considerato l’inventore della videoarte, colui che per primo sperimentò le possibilità espressive non solo della telecamera portatile, strumento indispensabile per la creazione di video, ma anche e soprattutto dell’apparecchio televisivo. Una considerazione particolare va fatta riguardo l’impiego della televisione che per la prima volta viene introdotta in arte da Nam June Paik contemporaneamente ad un altro artista, Wolf Vostell. L’ingresso di questo mezzo di comunicazione di massa in un contesto artistico, rappresenta infatti non solo la nascita della videoarte, ma anche e soprattutto il primo esempio di arte elettronica. La paternità di questa pratica artistica viene attribuita a Nam June Paik in quanto l’artista coreano risulta essere il solo che all’inizio degli anni Sessanta considera il mezzo televisivo principalmente in relazione alle sue potenzialità espressive.

Paik intraprende la sua carriera artistica partendo da una base di conoscenze prevalentemente musicali. Dopo aver concluso gli studi universitari in Giappone la sua passione per Schömberg, compositore del quale Paik apprezza soprattutto la carica rivoluzionaria, lo spinge a trasferirsi in Germania per proseguire gli studi di composizione musicale.

In questo paese ha la possibilità di aggiornarsi sulle ultime frontiere della musica classica contemporanea e della musica elettronica. L’incontro decisivo della sua vita avviene a Darmstadt nell’estate del 1958 quando conosce John Cage, musicista e performer che sconvolge con la sua poetica artistica e musicale un’intera generazione di artisti.

Nell’arte elettronica (dalla musica al video) così come la intenderà Paik , confluiranno la maggior parte delle teorie di Cage, prima tra tutte l’indeterminatezza dell’opera, la sua imprevedibilità. La poetica del compositore americano, fortemente impregnata dai principi della filosofia Zen, si caratterizzava per l’importanza data al ruolo del caso sia nella composizione sia nell’esecuzione di uno spartito, considerava il Tempo come una funzione variabile all’interno di una composizione e trattava il silenzio o il rumore come oggetti d’ascolto. Nam June Paik fa di Cage il suo guru e attraverso il suo esempio, sviluppa una poetica originale e in forte tangenza con quella delle neoavanguardie degli anni ’60. A partire dal 1958, ai suoi lavori musicali, consistenti in collages di suoni e rumori registrati su nastro, Paik aggiunge il gesto, il corpo, la dimensione performativa dell’evento, il ruolo attivo del pubblico, il fascino dell’imprevisto e dello choc emotivo, la casualità e un carattere dissacratorio nei confronti di tutte le pratiche convenzionali della musica.

Nella prima metà degli anni Sessanta, la sua costante ricerca di nuove forme espressive lo spinge a considerare la televisione come un nuovo possibile strumento musicale. Dalla prima mostra del 1963 a Wuppertal, The Exposition of Music-Electronic Television, le sue opere si caratterizzano per la presenza di apparecchi televisivi che vanno considerati come strumenti per un tipo di musica fisica ed esclusivamente visiva. Paik inizia ad indagare a fondo le possibilità espressive del televisore, ne studia il funzionamento e, sfociando nel campo dell’arte visiva, muove i primi passi in direzione di una nuova pratica artistica che stabilisce una importantissima collaborazione tra arte e scienza.

La musica, le teorie di Cage, l’incontro ed in seguito l’adesione al gruppo Fluxus, la volontà di “andare in terra vergine” alla ricerca di soluzioni sempre nuove e la continua promozione di una rivalutazione del ruolo della scienza in arte caratterizzeranno l’intera parabola artistica di Paik. Il suo impegno nel campo dell’arte elettronica è veicolato inoltre da una poetica in forte tangenza con le teorie del sociologo canadese McLuhan. Il suo modo di concepire l’arte come esperienza polisensoriale, dovuta anche all’impiego dello strumento televisivo, gli permetterà di superare il grande muro imposto dalla poetica di Duchamp, l’artista più importante del XIX secolo dopo il quale in arte si ha la sensazione che nulla di realmente nuovo possa essere realizzato. Il carattere audio-tattile e processuale dell’immagine televisiva propone infatti un’alternativa all’esperienza esclusivamente visiva del ready made duchampiano.

Nella seconda metà degli anni Sessanta Nam June Paik si trasferisce a New York e accetta l’invito di Maciunas ad entrare nel gruppo Fluxus. In questa nuova situazione concentra il suo lavoro su due fronti artistici differenti: da una parte gli esperimenti con la televisione che evolveranno poi nella videoarte e nelle sue più famose videosculture e videoistallazioni, dall’altra le performance che rappresentano una sorta di via di mezzo tra le precedenti pratiche artistiche (concerti, happening…) e l’impiego della tecnologia televisiva all’interno della sperimentazione musicale. I lavori con Robot K-456 e con Charlotte Moorman fanno parte di questa seconda sfera artistica in cui la strategia performativa è dominante e determina un tipo di espressività ancora molto legata alla dimensione fisica dell’essere umano e degli strumenti utilizzati. I primi happening composti per essere eseguiti dalla violoncellista Moorman, avevano come scopo quello di affrontare la tematica della sessualità anche in campo musicale. In seguito, con strumenti da performance come TV Bra for Living Sculpture (1969), l’obiettivo di Paik divine quello di avvicinare la tecnologia alla vita, di renderla più familiare associandola ad un indumento intimo e dimostrando come potesse essere possibile trovare delle applicazioni alternative per l’apparecchio televisivo.

La volontà di trovare per la televisione impieghi sempre nuovi e distanti dal suo uso ufficiale è alla base anche delle videoistallazioni alle quali Paik lavora con sempre maggiore interesse soprattutto a partire dal 1965, anno in cui viene messa in commercio la prima telecamera portatile. Grazie a questo nuovo strumento Paik si dedicò alla creazione di video e di videoistallazioni a circuito chiuso, opere di arte elettronica che discendono direttamente dai primi esperimenti di televisioni modificate esposti alla mostra The Exposition of Music-Electronic Television del 1963.

Paik, come anche il sociologo McLuhan, era consapevole del fatto che questo mezzo comunicativo non poteva essere solo criticato ma anche indagato in tutte le sue potenzialità e considerato in relazione alle sue caratteristiche specifiche. Paik era riuscito a restituire nuova dignità a questo mezzo molto criticato dagli intellettuali e dagli artisti del tempo, di facendo conseguire alla parte distruttiva o critica della sua arte una parte costruttiva subordinata ad una nuova forma funzionale. In ogni videoistallazione di Paik la tv viene proposta in maniera diversa: come oggetto per la meditazione, come indumento, come nuovo tipo di monumento, come oggetto ecologicamente inserito nell’ambiente contemporaneo umano che può affiancarsi o addirittura sostituirsi alla natura.

Il video gli permette invece di destrutturare dall’interno il linguaggio della televisione commerciale. Con la collaborazione con ingegneri e scienziati, crea uno dei primi sintetizzatori di immagini grazie al quale riuscì a creare un nuovo universo visivo, strutturato principalmente secondo la logica del collage. I lavori di videoarte di Paik hanno lo scopo di suggerire un uso artistico del mezzo di comunicazione di massa più diffuso nel mondo. Se la tv per tanti rappresentava una finestra sul mondo, Paik cerca di allargarne l’orizzonte proponendo nuovi paesaggi visivi e mostrando come il cambiamento, considerato utopico della società, fosse possibile attraverso gli esempi di vita adottati dagli artisti che ritrae più volte nei suoi lavori. Inoltre vuole dimostrare come, attraverso lo sviluppo e la diffusione di una nuova televisione, si può creare una specie di “esperanto elettronico” costituito dalle immagini onnicomprensive dei video artistici. Nei progetti di Paik di tv satellitare il suo obiettivo di comunicazione artistica da amplificare ad un livello globale, si realizza oltretutto in una forma di telecomunicazione biunivoca in cui anche lo spettatore è partecipe della trasmissione.